
Maurizio Virdis La nuova letteratura in lingua sarda
Abitare il Barigadu. Attobiu de Litteradura. Busachi, Centro Servizi, 27 luglio 2005, h. 9,00 © mVis!* Maurizio Virdis 2009
Abitare il Barigadu. Attobiu de Litteradura. Busachi, Centro Servizi, 27 luglio 2005, h. 9,00 © mVis!* Maurizio Virdis 2009
Credo che, se vogliamo esprimere e raccogliere in una cifra il senso della produzione letteraria in lingua sarda nel Novecento, credo che tale cifra possa e debba consistere nel dire che l’attività letteraria, prima di ogni altra cosa, si sia progressivamente scrollata di dosso una tradizione e soprattutto un sentimento di minorità e di tributaria dipendenza. Non solo, ma la parte finale di questo secolo non da molto trascorso e l’inizio di quello attuale hanno visto e vedono il nascere della prosa narrativa in sardo. Ciò che mi pare possa costituire il definitivo tramonto di un senso di inferiorità e della matura e cosciente acquisizione di capacità attuali e concrete. Il comparire di quest’ultimo fenomeno (quello della prosa in sardo, voglio dire) segue poi, non casualmente, il rinnovamento stilistico e linguistico della creazione e produzione poetica che già aveva una tradizione se non proprio cospicua, certamente di più lunga data. La poesia del Novecento, o meglio della seconda metà del secolo, ha infatti svecchiato il dettato poetico e ha reagito, in maniera felice e feconda, rispetto a una tradizione che ormai diventava maniera o, peggio, passatismo, prigionia dentro un canone che le letterature di maggiore spicco e di più ampio passato e produttività avevano ormai abbandonato da tempo.
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Vorrei concludere questo excursus ricordando anche come sia in atto, nella cornice di tale fervore letterario, una attività di traduzione di testi letterari tanto italiani quanto stranieri, che ha un valore e una finalità non certo pragmatica o di diffusione fra i sardi di testi letterari in altra lingua: qualunque sardo che sappia o voglia leggere un testo letterario sa infatti farlo tranquillamente per lo meno, e direi fin anche meglio, in italiano, se non direttamente in lingua straniera. Il significato di una tale attività traduttoria è allora, ancora una volta, quello di misurare il sardo con altre lingue, perché esso possa guadagnare, a sua volta, una sua propria misura; il significato è quello di porlo in cimento, costringendolo ad acquisire e ad allargare, anche per questo tramite, quelle capacità espressive che gli necessitano per raggiungere la propria compiutezza. Una su tutte mi piace, e credo anzi sia doveroso, ricordare la traduzione della Commedia dantesca, opera e fatica veramente ‘ispantosa’ di Paolo Monni, che sa districarsi fra mille insidie e difficoltà; che sa essere, linguisticamente, ad un tempo debitrice e non tributaria del testo – quale testo! – d’origine; approntata con una volontà caparbia di svincolarsi dai significanti di partenza che fa pertanto, inevitabilmente, slittare i significati che si adattano così spesso ad altro sentire e ad altro percepire.
E como, duncas, como chi la semus currende cust’odissea de rimas nobas, chircamus un’istentale nessi…: nessi pro no rueremus torra in su nuraghe ’e s’umbra. Pro chi ’nd’essiremus dae sa nurra ’e s’irmenticu. Ringratziandebos! ‼
Cagliari, 16 luglio 2005. Letto a Buschi il 27 luglio 2005
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Cagliari, 16 luglio 2005. Letto a Buschi il 27 luglio 2005
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