domenica 3 maggio 2009

Introduzione allw "Rimas" di Gerolamo Araolla


Gerolamo Araolla
RIMAS DIVERSAS SPIRITUALES
Edizione critica a cura di
Maurizio Virdis

Cagliari
2006

© mVis !* Maurizio Virdis 2009


A nonna Rosina,
che parlava in sardo.

Introduzione

I. L’uomo, i tempi, l’opera

Può essere difficile, così come è per ogni origine, cercare di comprendere la nascita in Sardegna di una scrittura e di un’attività letteraria, in lingua sarda, nella seconda e inoltrata metà del secolo XVI, dovuta alla penna e all’intelletto di Gerolamo Araolla; e così pure darci conto di come essa nasca di fatto in forme già pienamente mature e coscienti di sé. Allo stesso modo rimane, non poco, un mistero il comprendere come una tale attività appaia essere un esperimento che resta isolato e senza seguito. Tuttavia entrambe le proposizioni (ossia l’improvviso apparire e il repentino spegnersi di tale esperienza) andranno certamente riviste e ridimensionate rispetto alla rigidità che primariamente sembrerebbe loro imposta dall’apparente mancanza di riscontri tanto antecedenti che susseguenti: revisione che si può attuare esercitando con maggiore accortezza lo sguardo, sì da tener presente non solo il milieu politico e culturale del Cinquecento sardo, e in specie la sua seconda metà, ma pure la ‘protostoria’ della scrittura letteraria in Sardegna e la prosecuzione storica di un tale fenomeno generato dal piccolo miracolo di un pur minuto – e se così volessimo osare definirlo – Rinascimento sardo.
Infatti non si può non tener conto della produzione in lingua sarda che precede l’attività dell’Araolla; e non mi riferisco soltanto alla produzione di carattere giuridico e documentario, che pur funge da retroterra culturale su cui poteva poi essere fondata e finanche posta in esigenza una produzione letteraria in sardo, dato che questa lingua, pur quasi priva di esperienze estetiche e poetiche, era pur sentita non un vernacolo ma la lingua della giurisdizione ufficiale e dell’espressione formale; non mi riferisco, dico, solo a questo antefatto perché non va taciuto il pur tenue filo di esperienze e produzioni scrittorie come quella del Libellus Judicum turritanorum del sec. XIII, o del poemetto del Cano, Sa vitta et sa morte, et passione de sanctu Gavinu Prothu et Januariu (sull’argomento al quale tornerà, riscrivendolo, proprio l’Araolla), del sec. XV, o la prosa del tardomedievale Condaghe di S. Gavino, che ci dimostrano quanto meno come la lingua sarda sapesse venir fuori dalle necessità pragmatiche più immediate, o dalle esigenze documentarie e concrete della scrittura1. E se il risultato della produzione dell’Araolla – che certo aveva nella sua mente la dimensione storico culturale della propria lingua, lui, contemporaneo e concittadino, oltre che intimo del Fara – può apparire concluso in se stesso e senza seguito, soprattutto nell’intenzione di fondare una lingua e una tradizione di produttività letteraria sarda, non va però dimenticato quanto la sua scrittura abbia costituito e fondato un canone linguistico e letterario sardo in sardo, per la poesia scritta ed anche orale, che si può dire giunga fino ai nostri tempi: basti pensare alla fortuna dell’ottava, anche e soprattutto nella poesia orale, all’imposizione di un lessico che si diversificava, per l’apporto delle lingue italiana e spagnola, da quello comune parlato, quale indice di e per un registro aulico poetico; e si pensi alla proposizione di una retorica importata dalle esperienze letterarie coeve, italiane in primo luogo, il cui impiego avrà lunga durata, e che in certa misura ancora perdura; all’aver egli insomma volutamente e coscientemente ‘inventato’, per il sardo, l’idea (prima di tutto l’idea) di una disciplina linguistica, e della necessità effettiva della differenziazione fra registri linguistici. Pertanto, se anche, come dice R. Turtas, il «”manifesto” [preposto dall’Araolla al testo del suo poemetto agiografico] a favore del sardo come lingua di cultura scritta» può essere definito un «”manifesto” tardivo, che difficilmente poteva ribaltare una situazione già fissata fin dal 1567 quando Filippo II, in seguito ad una petizione di alcuni maggiorenti sassaresi» perché i loro figli conseguissero, presso il collegio gesuitico cittadino, non solo una buona formazione umanistica ma anche una buona padronanza del castigliano, «aveva imposto ai Gesuiti di quel collegio l’utilizzazione di questa lingua nell’insegnamento e perfino nella predicazione in città»2: se anche tutto ciò è dunque storicamente vero, e soprattutto a livello di cultura ufficiale, non si può però non considerare il fatto che, dall’Araolla in poi, un’attività e una produzione letteraria in sardo agirà sulla scena culturale isolana come un fiume, se non proprio sotterraneo, certamente dal percorso seminascosto, che di quando in quando si manifesta maggiormente alla luce.

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