PROFILO LINGUISTICO DELLA SARDEGNA
Capitolo II
Tratti tipici della lingua sarda
La lingua storica della Sardegna è il sardo, un tempo parlato in tutto il territorio dell’Isola. Le diverse vicende storiche hanno dato luogo all’impianto o alla formazione di altre lingue nel territorio isolano. Nel territorio della Gallura – già da epoca preromana in contatto culturale con la Corsica, contatto, anche linguistico, poi rimasto endemico per tutto il medioevo e oltre – si è infatti impiantato a partire dai secc. XIV-XV il dialetto corso *meridionale; l’area linguistica gallurese, nelle cui parlate è comunque presente una consistente porzione di lessico sardo-logudorese, occupa una superficie di kmq *** e interessa circa 100.000 parlanti. Nell’area sassarese (Sassari, Porto Torres, Sorso Stintino), a partire dalla città di Sassari si venne formando nei secc. *XIII-XIV una parlata mista, a base grammaticale e lessicale toscana (pisana) ma largamente compenetrata dall’elemento sardo logudorese; l’area linguistica sassarese occupa una superficie di kmq *** e interessa circa 170.000 parlanti. Ad Alghero (40.000 abitanti) si impiantò, a partire dalla conquista aragonese nel sec. XIV, il catalano; mentre nell’isola di San Pietro, fino ad allora completamente disabitata, fu fondata, in epoca sabauda nel *1738 dai coloni liguri provenienti dall’isola di Tabarca (prospiciente la costa africana tunisino-algerina); *il dialetto tabarchino si estese poi a Calasetta, nella parte settentrionale della vicina isola di Sant’Antioco: questa varietà ligure interessa circa 10.000 abitanti.
La lingua sarda, testimoniata dalle scritture fin dagli ultimi decenni del sec. XI, non ha mai conosciuto una varietà sovralocale, se si esclude la coinè letteraria a base logudorese, impiegata, soprattutto ma non solo, da poeti e letterati a partire dal tardo sec. XVI fino ai primi decenni del Novecento e anche oltre, mentre la variante cagliaritana ha spesso funto da variante ‘colta’ nella metà meridionale dell’Isola.
Le differenze areali sono già tendenzialmente presenti fin dalle prime manifestazioni scritte (che peraltro, come proprio e ovvio di ogni registro scritto, tendono a occultarle) del sardo e sono andate progressivamente aumentando nel corso della storia linguistica sia per i diversi contatti linguistici del sardo con altre lingue, sia per differenti modalità evolutive delle medesime diverse aree linguistiche.
Tuttavia queste differenti aree geolinguistiche sarde condividono un buon numero di fenomeni:
Fonetica.
Il sardo presenta un sistema vocalico a cinque elementi fonematici tonici con varianti metafonetiche per la vocali medie e ed o. In pratica mentre nella più gran parte delle aree romanze la Ĭ e la Ŭ (brevi) latine hanno dato luogo, confluendo rispettivamente con la Ē e con la Ō lunghe, ad é e ad ó (fonologicamente) chiuse, in sardo tali vocali sono rimaste inalterate: nìe (< voleo =" ‘(io)">
Capitolo III
I dialetti della lingua sarda
Come già detto sopra il sardo non ha mai avuto una unità linguistica, almeno per quanto riguarda l’uso comune e diffuso; il sardo ha semmai avuto, come pure abbiamo ricordato sopra, una coiné letterario poetica basata sul logudorese (o, per la precisione, sulla variante logudorese che ha come centro areale Bnorva, e che da un punto di vista lessicale tende verso l’introduzione di materiale esogeno, soprattutto italiano, ma pure iberico, catalano e castigliano); mentre la variante cagliaritana ha spesso, funto, e in certa misura ancor oggi funge, da variante sociolinguistica colta urbana in buona parte del meridione isolano.
La lingua sarda presenta una fondamentale e storica bipartizione che divide linguisticamente l’isola in due metà, l’una che potremmo dire latamente logudorese a nord e l’altra latamente campidanese a sud: differenziazione già evidente a partire dalle prime manifestazioni scritte, che cominciano ad apparire nel tardo sec. XI, del medioevo sardo.
Difficile dire le ragioni e le cause storiche di questa primaria divisione areale, in buona parte immerse nella ‘protostoria’ della Sardegna medievale, per lo più ancora immersa nella nebbia in misura ben maggiore che per le altre aree o regioni storico linguistiche italiane europee (occidentali); e in particolare, soprattutto perciò che qui maggiormente ci riguarda e ci preme, misteriosa è l’origine dei giudicati, le quattro entità storico politiche, in cui era divisa la Sardegna nel medioevo, entità sovrane spesso in competizione e in guerra fra loro. Sembrerebbe certo che queste entità affondino la loro origine primaria nella politica bizantina e che il giudice fosse il rappresentante in Sardegna dell’imperatore di Bisanzio. Ma resta oscuro quale fosse il processo di progressivo distacco della Sardegna dall’impero d’oriente (forse mai formalmente consumato e consumato solo di fatto intorno alla metà del sec. XI), e soprattutto quale fosse stato il processo storico di quadripartizione del territorio sardo. Tale divisione in quattro parti fu immediata? O vi fu una primaria partizione nord-sud, a partire dalla quale ciascuna delle due parti si suddivise a sua volta in due: giudicato di Cagliari e giudicato d’Arborea a sud, giudicato di Torres e giudicato di Gallura a nord? Quanto questa divisione politica medievale influì, nel momento iniziale, sulla configurazione dialettale dell’Isola, ancor oggi in buona parte permanente nelle sue linee essenziali? Certo è che molti odierni confini di fenomeni dialettali (isoglosse) coincidono fondamentalmente non soltanto con gli antichi confini giudicali, ma anche con i confini delle antiche curatorie, ossia con gli antichi confini dei diversi distretti amministrativi in cui era diviso ciascuno dei quattro giudicati.
In ogni caso un fascio di isoglosse divide il territorio della lingua sarda in due metà:
- mantenimento delle velari originarie latine a nord contro loro evoluzione in palatali a sud: CENTUM > kéntu /čéntu, CAELUM > kélu / čélu, CILIUM > kidzu / čillu, CEPULLAM > kiβudha / čiβudha, CENĀ PURĀ > kenàβura /čenàβ(u)ra (venerdì), ACETUM > aγédu /ažédu, TENACEM > tenaγe / tanaži (picciolo), VOCEM > bòγe /bòži, SCIRE > iskire /širi, PASCERE > pàskere /pàširi GENERUM > ĝéneru / ğéneru GELARE > ĝelare /ğelai, GINGIVA > ĝìnĝi(v)a (o ĝinĝìa) / il meridionale sìntz(i)a ha un evoluzione particolare parzialmente influenzata dallo spagnolo encía, STRINGERE > istrìnĝere / strìnğiri, SPARGERE > ispàrĝere /sparğiri (o spràžiri con metatesi), nuor. fùγere (<> fròre / fròri, PORCOS > pòrcos / pròkus, TENACEM > tenaγe / tanaži (picciolo), HODIE > ò(j)e / òi, FUNEM > fùne / fùni, PANES DULCES > panes durkes /panis dručis, TIMES, -ET > times, -et / timis, -it, -ARE > -are / -a(r)i, ′-ERE > ′-ere /
′-i(ri), -IRE > -ìri, -ì(ri);
come detto sopra, questa particolarità del dominio meridionale comporta la fonematizzazione delle varianti [è] ed [é] e delle varianti [ò] ed [ó], che vengono a trovarsi in opposizione fonematica sia pure a basso rendimento, sì che si creano un certo numero di coppie minime: témpus (< voleo =" ‘(io)">
Nessun commento:
Posta un commento