
MAURIZIO VIRDIS
Gli studi di toponomastica sarda: riflessioni e prospettive
Gli studi di toponomastica sarda si sono concentrati soprattutto sulla toponomastica preistorica, come veicolo per la conoscenza del Sardo preromano e per cercare di definire la collocazione della civiltà sarda nella geografia culturale del mediterraneo e dell’Europa pre- e protostorica. La cosa aveva ed ha certo un significato ed un valore, ma non esaurisce più oggi tutte le aspettative e le ‘necessità’ scientifiche che in questo e da questo campo di studi ci si aspetta.
Certamente la Sardegna costituisce un’area per tanti versi privilegiata da questo punto di vista, stante che nell’Isola si registra una percentuale altissima, che non ha pari in Europa, di toponimi preromani e dunque ‘indigeni’ che in certe regioni di essa, nella Barbagia di Ollolai, arriva a sfiorare una misura del 50%, contro una media europea del 1% o 2% di toponomastica preistorica. E certamente la curiosità del ‘che cosa eravamo/donde veniamo’ è forte e giustificata. Purché però, naturalmente, non costituisca un’ossessione, né l’unico interesse.
In realtà il problema della toponomastica va posto su base più larga: su di un arco cronologico quanto più ampio possibile, sul collegamento stretto col territorio, con la storia, con l’antropologia, e naturalmente con la dinamica diacronica della lingua sarda.
Per quanto riguarda la toponomastica preistorica bisognerà comunque in parte procedere sul sentiero già tracciato, in parte segnare dei nuovi sentieri, a partire dal fatto che, in questo vasto ambito, non si conosce il significato originario del toponimo. Nel passato si è per lo più proceduto in due modi: 1) cercando accostamenti dei radicali dei toponimi sardi con radicali di altre lingue, e così cercando un significato pregresso e basico per il/i toponimo/i; 2) cercando, attraverso una procedura di scomposizione, il raffronto di componenti suffissali dei toponimi sardi con analoghe componenti in toponimi o lessemi di altre lingue, in modo da stabilire correlazioni geolinguistiche fra la Sardegna preistorica (preromana e prepunica) e un più ampio spazio euro ed afro-mediterraneo. Ne risulta un quadro in cui la Sardegna mostra collegamenti principalmente con l’area iberica e con l’Africa settentrionale (con il Basco e con il Berbero), ma emergerebbero pure correnti di concordanza con le aree della sponda settentrionale del Mediterraneo, e con la Grecia e l’area mediorientale.
Andrà innanzitutto ricordato il saggio, tanto breve quanto magistrale, di Benvenuto Terracini, Osservazioni sugli strati più antichi della toponomastica sarda del 1927, che ha posto le basi metodologiche relativamente a questo campo di studi in Sardegna, e ha tracciato un quadro entro il quale poi gli studi successivi si sono inseriti. Il Terracini, anche in parte sulla scia di alcuni studi a lui precedenti e che egli approfondisce, dimostra un legame stretto fra la Sardegna e l’Africa e più in generale con il Mediterraneo occidentale; e inoltre una più debole corrente che legherebbe la Sardegna con il Mediterraneo nord-occidentale, con le aree ligure, gallica e alpigiana. Gli accostamenti sono impostati soprattutto sul riscontro di suffissi che compaiono tanto in Sardegna quanto in altre aree. Una connessione vasta che abbraccia il bacino mediterraneo dell’ovest è fissata per esempio sul suffisso -itan, suffisso quasi certamente etnico: Sulcitano, Campidano, Sarcidano, Cagliaritano, o l’antico Giddilitani da confrontare con Aquitanus, Turdetanus, Mauritani, Panormitanus. I suffissi -’ir, -’il in toponimi quali Ithir e Migil, gli odierni Ittiri e Milis, o Esterzili, o il medievale Ibili trovano riscontri in Africa, p. es. Bidil, Tindiri, o in Iberia con Bilbilis. I suffissi ¬-àr e -’ar, p. es. Ardar/Árdara, Sàrdara, Maskar, Nurcar trovano riscontri con gli africani Sufasar, Nuraggara, Cebar, Tillibaris, o con l’iberico Salas e Abdoàra. Il suffisso -’in, p. es. in Urin, Sédini, Úsini, Gúspini che trova ulteriori consonanze in Africa e in Iberia. Altri contatti mediterranei sono stabiliti su voci come pala, bruncu, mara che legherebbero la Sardegna con aree più settentrionali, in Italia e in Gallia. Ma soprattutto il Terracini invitava i futuri studiosi di questo settore ad approfondire gli studi linguistici con attenzione all’antico Libico e ai moderni dialetti bérberi; e a cercare una cronologia relativa rispetto ai diversi strati in questione, oltre che a considerare l’eventualtà di diverse ondate cronologiche di un medesimo influsso areale, più in particolare quello africano, che può essere collocato sia in epoca preistorica che, successivamente, in epoca punica.
Di grande e fondamentale interesse per la Sardegna preromana sono i due lavori di Johannes Hubschmid: Sardische Studien del 1953 e Paläosardische Ortsnamen del 1963. Il primo dei due è maggiormente indirizzato a far luce sugli starti linguistici preistorici della Sardegna che non specificamente alla toponomastica, pur tuttavia, nel cercare di stabilire legami preromani fra Sardegna e ambito mediterraneo, lo Hubschmid tiene conto di diversi termini attinenti la geomorfologia e di diversi toponimi: termini quali, ne cito alcuni, mògoro, baccu, gonnos, marrargiu, gorroppu, péntuma, bega, nurra, tzèppara che come ben si vede fungono spesso da toponimi o entrano in sintagmi o composti toponimici; termini che, dalla paziente e sistematica analisi del nostro linguista svizzero, risultano avere, ciascuno, corrispondenze di sostrato in aree più o meno vaste, tanto in lingue e dialetti romanzi, quanto in lingue non latine (bèrbero e basco per lo più), e sarà interessante ricordare che lo Hubschmid interpreta la parola Sardegna come “bergwald” ossia foresta montana. Lo studioso a questa data, il 1953, stabilisce due strati linguistici preromani: uno, più antico, euro-africano che abbraccia territorialmente il bacino occidentale di entrambe le coste mediterranee, Sardegna compresa, e uno più recente ispano-caucasico che lega la Sardegna e l’Iberia, con riscontri fra lingua sarda e lingua basca.
Nel suo Paläosardische Ortsnamen del 1963, lo Hubschmid individuava invece sei strati linguistici preromani: uno antichissimo che comprende i toponimi ossitoni, del tipo, Alà, Buddusò, Alasè, Orudè, Torpè, Oruè, ecc., strato misterioso e difficilmente raffrontabile con altre aree geolinguistiche; uno strato euro-africano (cui si dovrebbe, p. es., la parola sarda matta) relativo al bacino occidentale del Mediterraneo; uno starto iberico di tipo euro-africano più tardo proveniente dalla Spagna (cui dovrebbe riferirsi fra l’altro il termine bèga, da confrontare con sp. vega e col basco ibai); uno stato ispano-caucasico, anch’esso largamente diffuso nel mediterraneo (da cui proverrebbero termini quali karróppu, cùccuru, mògoro); uno strato tirreno etrusco (dal quale verrebbero i suffissi -ena, -eno, p. es. in Gallura lo scomparso Dardèna) diffuso a nord-est dell’Isola e in Corsica; e infine uno strato libico, in seno al quale è difficile discernere fra elementi prepunici ed elementi portati per il tramite della civiltà punica.
Più recentemente Heinz Jürgen Wolf, nel suo La toponymie préromaine de la Sardaigne 2000, ha affinato il metodo costituendo le basi per una tipologia fono-morfologica della toponomastica sarda preistorica, pur senza stabilire confronti interareali fra Sardegna e altre regioni mediterranee. Lo studio ha interesse precipuamente linguistico in quanto, grazie alla forte conservatività del patrimonio linguistico sardo, si può tentare una più adeguata e congrua incursione nel campo della conoscenza dei parlari sardi del sostrato prelatino e della loro struttura, anche al di là – o al di qua se si vuole – dell’aspetto semantico, del loro significato e dei loro referenti semantici.
Andrebbero ricordati anche gli apporti di studiosi quali il Bertoldi, il Battisti, l’Alessio ed altri, in genere negli anni Venti Trenta del secolo trascorso, sui quali non c’è lo spazio di riferire qui.
Una intersezione e interrelazione di queste .due linee di ricerca sarebbe del tutto opportuna ed auspicabile per trovare non soltanto analogie di radici semantico lessicali, ma anche, eventualmente, analogie strutturali e dunque più strette connessioni con eventuali aree (prei)storiche.
Sarebbe dunque opportuno, una volta che sia stata raccolta la maggior quantità possibile di materiale toponomastico, procedere a una schedatura sistematica di corrispondenze fra radici lessicali ed elementi modificanti di tali radici con tipologie di referenti (rilievi, avvallamenti, depressioni, insenature, particolari conformazioni geomorfiche, tipi di superficie, ecc.) per stabilire, attraverso le eventuali ricorrenze di concordanza fra elementi prettamente linguistici da un lato, e referenti concreti dei singoli toponimi dall’altro, un significato o almeno l’appartenenza a un ambito semantico dei rispettivi elementi linguistici. Il progetto di ATS può costituire un mezzo essenziale per ottimizzare quanto il metodo della miglior tradizione di studi toponomastici ci ha insegnato e consegnato. Ed esemplari, a questo proposito, sono, sul piano metodologico, gli studi di toponomastica italiana e iberica del Rohlfs.
Ma non è soltanto alla preistoria che dobbiamo rivolgerci, né questo, come dicevo in principio, deve essere l’unico settore di interesse per quanto riguarda la toponomastica.
La toponomastica, come pure tante altre cose, può parlare anche in negativo: per esempio la scarsità di toponimi punici in Sardegna, come pure la scarsità di materiale lessicale o grammaticale (possiamo dire punici i toponimi Macomer, Magomadas, Othoca, Tharros; mentre lo stesso nome di Cagliari non è certamente punico o fenicio, ma si rifà a radici mediterranee, come già il Wagner indicava decenni orsono), ci può dare qualche indiretta informazione sul tipo di colonizzazione dai Cartaginesi attuata in Sardegna: una colonizzazione in cui l’elemento punico dominante politicamente ed economicamente aveva uno scarso impatto sulla demografia, sull’antropologia e sull’organizzazione della vita quotidiana nell’Isola. Mentre è più che probabile che, in epoca punica, proseguisse quella preistorica continuità e contiguità antropologica che lega la Sardegna con l’Africa settentrionale, tramite anche l’immigrazione in Sardegna di popolazioni berbere, immigrazione assai probabilmente intensificatasi in tale epoca.
Né va poi trascurato l’apporto bizantino sulla cui conoscenza il prof. Giulio Paulis ha dato luce e apporti rilevanti, nel suo studio Lingua e cultura nella Sardegna Bizantina. Testimonianze linguistiche dell’influsso greco del 1983 che fanno luce su più di una traccia dell’organizzazione del territorio attuata dall’impero di Bisanzio in epoca altomedievale. Significativo il toponimo Jerzu < – presente per altro anche in Calabria presso Catanzaro – che significa ‘terreno incolto’; così pure rilevanti i toponimi in cui entra a partecipare il sostantivo caballare connesso con i kaballàrioi, ossia i soldati a cavallo detentori di un feudo di emanazione imperiale in cambio del servizio militare prestato. Da qui diversi toponimi che contengono tale parola: riu kaddaris, scala e quaddaris, genna quaddari, bau quaddari, caaddaris, caddales, punta cabaddaris. Ed inoltre toponimi quali Bia Aregus, Gibi Aregus collocati lungo le principali vie di comunicazione dell’Isola. Oppure, ancora, trigonia, sinonimo di curatoria, < gr. biz. Trigonía; o riu kumìa dal gr. biz. tà komía ‘i villaggi’
Giulio Paulis ha inoltre, e soprattutto, contribuito alla conoscenza della toponomastica della Sardegna con il suo lavoro I nomi di luogo della Sardegna del 1987 che censisce e raccoglie i toponimi presenti nelle carte IGM e nei dati catastali per un numero di oltre 100.000 toponimi, ripartiti comune per comune; lo studio ha poi una sezione che raccoglie i toponimi di probabile origine preromana attestati oralmente e una che raccoglie il medesimo tipo di toponimi attestati dai documenti storici. Ma soprattutto Giulio Paulis offre, nell’introduzione di questo lavoro, una lezione di metodo e di pratica relativa alla ricerca dell’etimologia e/o dell’origine dei toponimi sardi, mettendo in guardia, anche nella recensione degli studi del passato, contro una non accurata considerazione e analisi dei toponimi: infatti sono stati spesso attribuiti al sostrato preromano toponimi che, meglio analizzati, si rivelano infatti come sardi neolatini, o, viceversa molti toponimi individuati come latini o greci non resistono ad una analisi morfologica e fonetica che li ascrive invece con molto maggiore probabilità, al sostrato preromano. Infine la distribuzione territoriale di alcuni toponimi punici mostra la penetrazione della civiltà cartaginese in un’area più vasta di quanto non dimostri la diffusione areale dei pur scarsi relitti lessicali punici, confermando così il dato archeologico, dove è presente o supplendovi dove manca.
Ma sarà soprattutto alle formazioni sarde più, per così dire, recenti, cioè quelle di formazione sarda neolatina, finora tutto sommato trascurata, che bisognerà guardare e su cui bisognerà riflettere. Certo in prima istanza andrà recuperato, catalogato e classificato il maggior numero possibile di micritoponimi. Una tale inchiesta dovrà auspicabilmente andare oltre la raccolta e la classificazione organica dei toponimi già in varia maniera conosciuti (cartografia IGM, repertori catastali, ecc.); una tale inchiesta dovrà avere come referenti i parlanti e le comunità, coloro insomma che, con brutta definizione, vengono chiamati gli ‘utenti’ del patrimonio toponomastico. È da un’indagine siffatta che potranno venire risultati interessanti da più punti di vista, perché in questo caso siamo in presenza e in rapporto con toponimi di cui possiamo conoscere il significato. Quello antropologico per esempio, quello che lega l’uomo, l’abitante, col territorio frequentato, con le sue attività economiche, con le forze naturali, con la classificazione e la descrizione intuitiva del territorio, delle sue conformazioni, della sua struttura geomorfologica e del suo senso. Molto spesso ci troviamo infatti dentro un settore linguistico scivoloso: ci troviamo cioè davanti a indicazioni toponomastiche che stanno a metà strada fra il toponimo vero e proprio comunemente inteso, e la denominazione di un punto, di un luogo, di una determinazione geografica. Siamo cioè di fronte al processo della costituzione e della genesi stessa della toponomastica, di fronte cioè a quel processo che partendo dalla denominazione definitoria di un luogo geografico rende il medesimo il referente unico di tale definizione significante.
E a tal riguardo andrà indagato se di un dato luogo esistano più toponimi e quale statuto essi abbiano (ufficiale, intracomunitario, in uso presso gruppi sociali specifici e limitati, ecc.); andrà ricercato se l’utente comune sia in grado di intendere il significato di tali toponimi, se ne abbia perduto la conoscenza, se l’abbia risignificato e risemantizzato sottomettendolo a un processo di paretimologia, magari congiunta con un’alterazione fonetica: tutto ciò per verificare se e quanto e in quale maniera la comunità linguistica si appropria o si riappropria del luogo attraverso la sua (ri-)denominazione. E pertanto andrà fatta un’indagine, laddove e fin dove possibile, sui documenti storici, non solo quelli medievali, ma anche, per esempio sugli atti notarili del passato più o meno lontano, per scoprire quanto del patrimonio toponomastico ivi contenuto è ancora in uso, quanto è stato eventualmente rinnovato a livello per così dire ufficiale, ma sopravvive nell’uso comune, quanto è stato del tutto obliterato e completamente sostituito. Un’indagine che possa eventualmente stabilire se e quanto i mutati connotati fisici e materiali di un determinato sito abbiano contribuito a mutare il toponimo che lo significa, o se e quanto invece il toponimo sopravviva al mutamento: p. es. un ponte, una preda fitta, o corsi d’acqua e guadi vari oggi non più esistenti che mantengono l’antica denominazione toponomastica; oppure la presenza di un aggettivo nou riferito a qualche elemento locale, dove non c’è più il becciu, o viceversa).
Sarà poi necessaria una classificazione tipologica, trasversale e incrociata, dei diversi elementi del patrimonio toponomastico. Procedendo, per esempio intanto, a classificare gli omotoponimi o i toponimi corradicali, sia preistorici che storici, e constatare in situ se si riferiscono a tipologie microgeografiche simili; constatare quanti e quali toponimi sono riconducibili a fitonimi, o ad antroponimi (remoti o recenti); oppure, inversamente, partendo da dati geografici o geomorfologici consimili, quanto determinati luoghi analoghi abbiano una denominazione diversa: p. es., per i rilievi di non grande altezza possono essere chiamati coddu, giba, cuccuru, cuccureddu, monti o montixeddu, bruncu, murru, mogoro; o similmente ena, mitza o funtana possono essere denominazioni per le fonti; se tutti i guadi siano denominati con bau de oppure no, e se no quali altre denominazioni abbiano; se tutti i corsi d’acqua sono denominati con frumini (de) o riu (de) oppure no, e se no, si dovrà vedere se esiste una tipologia relativa ai radicali e/o ai suffissi e prefissi; o ancora quali denominazioni susseguano a bau de, o a riu/frumini (de), a monti (de), a bia (de), o a mitza o funtana (de), ecc. ecc.: conformazioni territoriali o geomorfiche, attributi che abbiano come referente caratteristiche proprie del referente della parola testa del sintagma toponimico; antroponimi, riferimenti a fatti o a eventi storici e soprattutto microstorici, e così via.
A livello sociolinguistico sarà pure necessario e interessante accertare la conoscenza, e il tipo di conoscenza della toponomastica e soprattutto della microtoponomastica fra i diversi gruppi di una comunità linguistica. Già prima accennavo che determinati (micro)toponimi possono essere conosciuti soltanto da una determinata e limitata parte della comunità di paese, o anche da gruppi specifici (p.es. gruppi più o meno integrati nella cultura tradizionale della comunità; oppure gruppi di mestiere o di attività: i pastori, gli agricoltori, i cacciatori, i pescatori, ecc, ecc.; oppure gruppi differenziati per fasce generazionali). Ma soprattutto si potrà/dovrà accertare se vi siano varianti innanzitutto di tipo lessicale per indicare un medesimo luogo, e, ove possibile, stabilire una cronologia delle diverse varianti, oltre che gli ambiti diastratici o diafasici di esse. E anche qui potremmo trovarci di fronte al sottile diaframma che separa toponomastica e indicazione/denominazione di luogo.
Andranno poi individuati i toponimi che trovano origine nei diversi superstrati della lingua sarda. A parte i toponimi di origine greco-bizantina di cui già ho detto, andranno individuati i toponimi di origine catalana spagnola ed italiana, e riguardo a questi andrà verificato se accanto al toponimo d’origine esogena coesista il toponimo autoctono: p. es. Monserrato accanto a Pauli; Elmas (che andrà magari riportato alla giusta accentazione Elmàs) accanto a Su Masu, o se tali toponimi siano stati sardizzzati, come p. es. Vallermosa che convive accanto a Biddaremosa; o il cagliaritano Poetto assai probabilmente proveniente dal catalano Pouet; oppure Alghero, che coesiste con S’Alighera e l’Alguer, o ancora troviamo forme ispanizzate o italianizzate di precedenti toponimi sardi che continuano ad esistere, p. es. Selargius accanto a Ceraxus o Sassari accanto a Tattari da un precedente Thathari; fino alle deformazioni moderne turistico-italiane del tipo Torre delle Stelle o Cala Luna, che tuttavia, ci piaccia o no, fanno parte ormai del patrimonio toponomastico sardo.
Insomma credo che un’indagine toponomastica debba tener conto di molti dati e di molti fattori. Dovrà certamente tener conto di tutto il patrimonio toponomastico in vario modo e da varie iniziative o necessità già conosciuto e raccolto, per controllarne poi l’esattezza dal punto di vista fonetico e registrarne le eventuali varianti. Ma dovrà poi soprattutto operare e indagare nelle diverse comunità urbane e di villaggio, magari cercando più di un informatore (o meglio più d’una tipologia di informatori) per ciascuna comunità, e sapendo scegliere i più adatti. Per ciascun toponimo rilevato -sarebbe poi opportuno registrare una o più notazioni relative al toponimo e al luogo che esso designa: che luogo è, quali caratteristiche fisiche ha, a quali eventuali fatti del passato o a quali persone esso è legato, quali eventuali leggende o credenze esso richiama o si sono formate intorno ad esso, in quale contesto storico e/o archeologico esso si trova, se vi si trova, a quali attività o contesti antropologici esso sia legato.
Un lavoro di raccolta e classificazione che richiede, per la sua elaborazione e sviluppo, l’apporto in sinergia di conoscenze, oltre che ovviamente linguistiche, anche geografiche, demoantropologiche, storiche e archeologiche.
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